Dario Di Gese, il pennello futurista che dipinse la nuova Italia dell’Agro Pontino

Tra bonifica, macchine e l’estetica rivoluzionaria del futurismo

Sin dai primi colpi di vanga nella bonifica dell’Agro Pontino, il Futurismo mostrò un interesse profondo e immediato per la radicale trasformazione di quel territorio. Questa colossale impresa non era vista solo come un’opera di ingegneria civile, ma come una tangibile prova della modernità e del progresso della nuova Italia, un ideale che risuonava perfettamente con i principi futuristi di velocità, dinamismo e rottura con il passato.

L’intervento di bonifica integrale delle Paludi Pontine, in particolare, racchiudeva in sé l’“idea della bellezza meccanica”, un concetto caro ai futuristi. L’impiego su vasta scala di macchinari imponenti come le escavatrici a tazze Tosi, gli escavatori Ruston e le trattrici Fowler, personificava l’esaltazione della tecnologia e dell’efficienza. Questi mezzi meccanici, nella visione futurista, erano capaci di generare una nuova spiritualità, una vera e propria “religione laica del macchinismo”, dove la forza bruta e la precisione delle macchine diventavano icone di un futuro glorioso e produttivo.

L’arte, in questo contesto di rinascita e trasformazione, intervenne prepotentemente nelle Città di Fondazione sorte sulle terre bonificate. Un momento cruciale fu il maggio del 1936, quando, in occasione della I Mostra d’arte della provincia di Littoria, allestita a Sabaudia, fece il suo esordio il gruppo futurista di Littoria. Composto da Dario Di Gese e Pierluigi Bossi, questo sodalizio artistico ottenne un riconoscimento significativo grazie all’appoggio di Filippo Tommaso Marinetti, padre fondatore del Futurismo.

Questa collaborazione permise a Di Gese e Bossi di esporre le loro opere in importanti contesti nazionali: sia alla Seconda Mostra di Plastica Murale ai Mercati Traianei nel novembre del 1936, sia alla prestigiosa Biennale di Venezia del 1938. Tra i loro bozzetti, spicca la rappresentazione della Donna Rurale di Littoria, spesso raffigurata con il Comune sullo sfondo, a simboleggiare l’unione tra la forza lavoro agricola e le nuove strutture urbane che stavano plasmando il paesaggio pontino.

Dario Di Gese, attraverso la sua arte futurista, non si limitò a documentare un’epoca di profonde trasformazioni, ma interpretò e celebrò l’anima meccanica e innovatrice di un’Italia che si proiettava con audacia nel futuro. Le sue opere sono oggi testimonianza di un periodo storico in cui l’arte e l’ingegneria si fusero per dare vita a un nuovo paesaggio e a una nuova identità.