LA STORIA DELLA DIOCESI

STORIA DELLA DIOCESI
di

Giuseppe De Nardis – Massimiliano Di Pastina

Le origini e la fondazione


1. Per una rilettura dei capp. 27-28 degli Atti degli apostoli

 «Partimmo quindi alla volta di Roma. I fratelli di là, avendo avuto notizia di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio» (At 28, 14b-16). Questa citazione viene normalmente utilizzata dagli studiosi per indicare gli inizi della Chiesa in terra lepino-pontina, perché in essa vengono nominate due località – Foro Appio (Borgo Faiti – Tre Ponti) e Tres Tabernae (Cisterna) – che fanno parte del territorio della nostra diocesi.

Occorre però notare che Foro Appio e Tre Taverne sono presentati come mete raggiunte dai cristiani di Roma che si fanno incontro all’apostolo Paolo e non come sedi di comunità cristiane che accolgono il prigioniero. Le conversioni alla nuova religione e la nascita di comunità ci saranno più tardi, ma è certo che il brano citato non testimonia cristiani del luogo.

Comunque il libro degli Atti degli apostoli ci può aiutare a riscoprire e comprendere possibili e interessanti momenti vissuti da alcune delle nostre città di origine romana. Finora si è tenuto in poco conto soprattutto il contesto di At 28; vogliamo allora cercare di evidenziare quelle notazioni che situano il viaggio paolino, da Pozzuoli a Foro Appio, nella stagione meteorologica nella quale è stato effettuato.

Abbiamo dato per scontato che Paolo abbia utilizzato la via Appia per l’attraversamento della palude Pontina da Feronia (Ponte Maggiore – Terracina) all’incontro con i cristiani di Roma; schematizzando, il suo tragitto sarebbe stato: Terracina, Feronia, via Appia, Foro Appio, Tres Tabernae, Roma. Riteniamo invece che non sia stato questo il viaggio fatto dall’apostolo. Per individuare quello più verosimile bisogna tener presente anche il cap. 27 degli Atti, in cui vengono narrate la partenza per Roma di Paolo e di «alcuni altri prigionieri» (At 27, 1), la tempesta e il naufragio a Malta. L’autore specifica che la navigazione era pericolosa, poiché «era già passata la festa dell’Espiazione» (At 27, 9), una festa ebraica che veniva celebrata nell’equinozio di autunno; Luca presenta tale festa come data ultima per concludere i viaggi per mare in modo sicuro prima dell’inverno. Difatti, nonostante le esortazioni di Paolo, dopo quattordici giorni trascorsi in balia del mare, la loro nave fece naufragio a Malta. Rimangono sull’isola per tutto l’inverno: infine «dopo tre mesi» salparono su «una nave di Alessandria che aveva svernato nell’isola» (At 25, 11). Questa nota indica che il viaggio fu ripreso al più presto ai primi di marzo, arrivando la comitiva a Siracusa forse nella prima decade dello stesso mese. Qui fanno una sosta di tre giorni e ne impiegano altri due di navigazione per arrivare a Pozzuoli, dove si fermano una settimana su invito dei cristiani di quella comunità. Infine ripartono per Roma e, presumibilmente, sono a Terracina – città che peraltro non viene citata nella narrazione degli Atti – verso la decade conclusiva del mese di marzo con l’ultima tappa certa, fatta alla stazione di posta di Feronia, prima di percorrere la parte che più interessa questa ricerca, cioè il tragitto fino a Foro Appio.

Quindi Paolo si trova al margine inferiore della palude a primavera già iniziata, e si sa che questo è il periodo delle piogge, allora molto più abbondanti per il clima umido dovuto alla palude; piovosità più accentuata significa che una quantità considerevole di acqua si riversava dai Lepini e dagli Ausoni nella palude e rendeva la via Appia inagibile per l’innalzamento del livello normale della stessa. In una situazione del genere c’erano solo due possibilità per arrivare a Foro Appio: o prendere la barca e compiere il percorso fatto e descritto dal poeta Orazio, ma questa volta controcorrente e con tutti i rischi del caso; oppure, sempre partendo da Feronia, prendere la via Pedemontana che, costeggiando i monti Ausoni, portava alla Privernum romana, da qui saliva a Sezze e infine arrivava a Tor Tre Ponti e a Foro Appio. Questa alternativa esisteva già ai tempi del poeta Lucilio che ne ha lasciato una testimonianza scritta.

Perciò se teniamo presenti le circostanze del viaggio evidenziate pensiamo sia naturale e logico ipotizzare per la comitiva dell’apostolo un viaggio via terra che comportava meno rischi e, attraversando delle città, poteva offrire anche dei momenti di ristoro.Questo significa che, oltre Terracina, Foro Appio, Tre Ponti e Tres Tabernae, la presenza dell’apostolo Paolo deve aver arricchito anche Priverno e Sezze, città che peraltro hanno avuto una parte fondamentale nella storia della Chiesa della nostra terra.

  2. La “civitas” romana sede vescovile

Molte comunità della nostra Chiesa affondano le radici della loro storia almeno nella Roma repubblicana, se non in epoche ancora più antiche, ed oltre a Terracina anche Priverno, Sezze, Norma e Cori sono civitates di diritto romano (Tres Tabernae, già dal nome denunzia la sua origine come stazione di posta, successivamente elevata a rango di civitas). Questo significa che se in queste città, nel periodo apostolico o in seguito, è sorta una comunità cristiana, automaticamente erano considerate sedi vescovili perché il responsabile della comunità era un episcopus.

Dopo questa necessaria precisazione, che dovrebbe fare definitiva chiarezza sul problema, occorre accennare ai vescovi che in qualche modo hanno lasciato testimonianza scritta, quindi documentabile, della loro esistenza. Per il periodo più antico, dagli apostoli a Costantino, solo tradizioni – orali o scritte – presentano nomi di vescovi unicamente per la Chiesa di Terracina; ma gli studiosi che hanno sottoposto queste testimonianze al vaglio di una critica serena, sono arrivati a conclusioni negative riguardo il loro valore come fonti e testimonianze storiche di una qualche validità.

La presenza certa e documentabile dei vescovi nelle nostre Chiese l’abbiamo testimoniata dal tempo di Costantino per le sole Terracina e Tres Tabernae, ma la ricerca fa riemergere pian piano anche le altre comunità ad una dignità prima sconosciuta.

Per ora è il caso di Priverno: una epigrafe ritrovata a Mezzagosto nel 1820, secondo gli studiosi più accreditati ci farebbe conoscere i nomi dei primi martiri della Chiesa privernate: “…RIUS / IULIUS / MONTANIANUS”.

Tres Tabernae e Terracina possono vantare la cattedra fin dal 313, la prima con Felice, la seconda con Savino. Gli anni successivi evidenziano una diversa storia. Mentre Tres Tabernae nel sec. V offre una presenza che possiamo definire “continua” nel servizio episcopale con Lucifero nel 465 e Decio negli anni 457-499, a Terracina per incontrare un successore di Sabino dobbiamo attendere il decennio conclusivo dello stesso secolo; difatti troviamo il vescovo Martirio che ne occupa la cattedra negli anni 492-503. Il cammino delle due Chiese presenta delle particolarità nei due secoli successivi; così, mentre Terracina continua ad avere una presenza episcopale, anche se in modo molto discontinuo, Tres Tabernae deve registrarne la provvisoria conclusione, tanto che Gregorio I Magno (590-604) nel prendere atto delle mutate situazioni storiche unisce questa Chiesa a quella di Velletri. Nello stesso periodo – cioè il pontificato di Gregorio Magno – la sede di Terracina ci presenta i vescovi Pietro e Agnello I, con cui il papa mantiene rapporti epistolari; Agnello viene trasferito a Terracina da Fondi e poi nominato cardinale.

3. Alto Medioevo

Questo periodo storico ci offre la visione di una particolare vitalità di due Chiese, Tres Tabernae e Priverno, che hanno una successione vescovile più omogenea di quella che troviamo nella Chiesa di Terracina che, dopo un’“apparizione” nel 650 del vescovo Agnello II, ripresenterà la successione episcopale solo nella seconda metà del sec. IX. Per Tres Tabernae e Priverno testimonianze scritte assicurano la presenza vescovile nella seconda metà del sec. VIII; tali testimonianze sono collegate alla lotta iconoclasta, che insieme alla conquista dei patrimoni della Chiesa di Roma in Sicilia da parte di Leone III Isaurico, porta come ulteriore aggravio contro il papa l’occupazione dei territori di confine tra il ducato di Roma e quello di Gaeta: occupata cioè la città di Terracina, i confini dei due ducati arretrano sulla linea San Felice-Priverno.

Insieme a questi fattori economico-politici, entra in gioco anche quello ecclesiale: così, per controbilanciare la perdita di tante Chiese meridionali passate dall’obbedienza romana a quella bizantina, i papi o riscoprono le sedi vescovili una volta fiorenti ed ora parte di altre Chiese – come Tres Tabernae che nel 762 presenta di nuovo un vescovo, Parvus – o ne creano di nuove forse sull’eco di testimonianze più antiche, come può essere successo per la città di Priverno. Queste due Chiese presentano un cammino parallelo per circa un secolo: dagli anni sessanta del sec. VIII Bonifacio (769) a Priverno e Parvus a Tres Tabernae, sino agli anni sessanta del secolo successivo con Martino nell’861 a Priverno e Giovanni nell’868 a Tres Tabernae. Tra questi estremi nella prima Chiesa troviamo i vescovi Eleuterio nell’862 e Majo dall’853 all’855, mentre per Tres Tabernaetroviamo Pinis nel 769, Leonino nell’826 ed Anastasio nell’853. Dopo la seconda metà del sec. IX registriamo da una parte la scomparsa della Chiesa di Tres Tabernae unita definitivamente a Velletri; la temporanea perdita della sede vescovile a Priverno che presenta, per circa centrotrenta anni, il fenomeno dell’incastellamento sotto la spinta delle scorrerie saracene, mentre si nota una certa continuità a Terracina, perché notiamo in questa sede i vescovi Giordano nell’853 (contemporaneo di Majo a Priverno e di Anastasio a Tres Tabernae) e Leone presente nell’879. La seconda metà del sec. X vede rifiorire una presenza vescovile sistematica nella Chiesa di Terracina, con Benedetto nel 969; poi, concomitante alla conclusione del fenomeno dell’incastellamento ed alla presenza del vescovo Giovanni nella sede di Terracina dal 957 al 994, anche la città di Priverno rinasce come sede vescovile presentando Benedetto a capo della sua Chiesa nel 993. Priverno continua ad essere sede vescovile per circa cinquant’anni: Pietro succede a Benedetto dal 1005 al 1029.

Con il successore di Pietro, il vescovo Giovanni testimoniato nel 1036, dobbiamo affrontare il discorso dell’unione di questa Chiesa con quella di Terracina. Per inquadrare l’avvenimento nel suo contesto più verosimile, occorre rifarsi ad un documento del 1027 che, se non è la causa prima dell’unione, di sicuro vi ha notevolmente contribuito. Nel 1027 dunque i consoli e la comunità intera di Priverno donano una larga parte di territorio all’abate Amico, anche lui di Priverno, per rendergli possibile la fondazione di un monastero sulle montagne di Roccasecca, in località Mileto. L’atto, ispirato e voluto dalle famiglie baronali dei conti di Ceccano e dai Crescenzi presenti in città, in cui occupavano le cariche più prestigiose, avrà una influenza determinante nella perdita della sede vescovile da parte di Priverno. La donazione riguarda una larga parte del territorio di Priverno, che prima arrivava addirittura a confinare con Fondi, che viene di fatto alienato: su di esso il vescovo della città non può esercitare più alcun potere di esazione e quindi non ne ricava più alcun provento per il suo sostentamento. In questo modo si creano i presupposti di carattere economico necessari per l’unione con una Chiesa vicina, cosa che avverrà circa quindici anni più tardi.

L’esame poi della presenza vescovile a Terracina negli anni 1033-1052 evidenzia delle incongruenze che sono una ulteriore testimonianza dell’unione. Quando gli autori delle cronotassi vescovili delle nostre Chiese parlano dei vescovi a Terracina, ne presentano sempre due che avrebbero occupato la sede: Teobaldo dal 1033, e Giovanni dal 1036 al 1052, affermando implicitamente la scomparsa del primo dalla sede terracinese alla presa di possesso dell’altro. Ma una pergamena dell’Archivio capitolare di Terracina, attualmente in deposito presso la Biblioteca apostolica Vaticana, testimonia che nel 1042 vescovo, console e duca di Terracina è Teobaldo; solo più tardi altri documenti presentano Giovanni vescovo della stessa città. Da questo intreccio possiamo risalire al tempo di probabile inizio dell’unione tra la Chiesa di Priverno e quella di Terracina, unione forse soltanto “ad personam” perché, verosimilmente, il vescovo di Terracina che succede a Teobaldo è proprio quel Giovanni, vescovo di Priverno, il quale nella nuova sede porta con sè, come una dote, la Chiesa che non era più nelle possibilità materiali di sostenerlo. Per l’unione ufficiale e giuridica bisognerà aspettare ancora un ventennio, ma la realtà di una Chiesa unica comincia il suo cammino.

  4. La Chiesa di Sezze

Mentre Priverno si avvia alla conclusione del suo cammino di Chiesa episcopale, non è per caso che ci è attestata questa realtà nella vicina città di Sezze, dove ritroviamo la famiglia dei conti di Ceccano che vi hanno mire ben precise e nella quale svolgeranno una costante presenza ed una influenza politica notevole. Questa famiglia, dopo essere stata artefice del crollo della presenza vescovile di Priverno, sembra essere ora artefice della presenza di vescovi a Sezze.

Il 3 novembre del 1037, in un atto di donazione del vescovo di Perugia Andrea in favore del locale monastero di S. Pietro, tra gli altri vescovi si sottoscrive Stefano di Sezze, insieme a Giovanni di Priverno e a Giovanni di Terracina. A Stefano succede il vescovo Pollidio, che nel 1046 concede al monaco benedettino Lidano d’Antena il permesso di edificare un monastero nella campagna di Sezze, «in locum qui vulgariter dicitur ad tres arcus iuxta montem Antongiani (…) sub vocabulo beate Cecilie virginis». Pollidio è dunque vescovo di Sezze negli anni in cui si concretizza l’unione tra Priverno e Terracina. Successore di Pollidio nella sede setina è il vescovo Drusino, che il 2 luglio 1118 si reca «cum clero et populo» nel monastero di S. Cecilia e, prelevato il corpo di Lidano, lo fa collocare «sub altare maiori ecclesie sancte Marie de civitate setina». Nel 1122 il vescovo setino Alessandro è presente tra quelli che dedicano una cripta nella chiesa cattedrale di Perugia.
Cronologicamente incerta è invece la collocazione del vescovo Giovanni, redattore della terza parte della Legenda sancti Lidani, un 
codice del sec. XIV, copia di un manoscritto risalente al sec. XII; il cardinale Pietro Marcellino Corradini, non sappiamo dire con quanto fondamento storico, pone Giovanni sulla cattedra setina nel 1140, ma la questione è ancora aperta.

Infine l’ultimo vescovo di Sezze, che conosciamo attraverso notizie più numerose, è Landone, che nella sua vicenda politica ed ecclesiastica testimonia ancora l’influenza nefasta delle famiglie baronali di Marittima e Campagna anche nelle scelte e nella “gestione” dei pastori delle comunità cristiane: da esse Landone viene eletto antipapa nell’ottobre del 1179. L’ultimo oppositore di Alessandro III (1159-1181) prende il nome di Innocenzo III; forse non è un caso che il successivo papa della famiglia dei Conti, eletto canonicamente circa vent’anni più tardi di questi fatti, assumerà lo stesso nome. Il 27 gennaio dell’anno successivo Landone conclude la sua breve parabola come antipapa; imprigionato da Alessandro III a Palombara, viene rinchiuso nel monastero benedettino della Ss.ma Trinità di Cava dei Tirreni, e di lui, come dei vescovi della Chiesa di Sezze, non si sentirà più parlare.

Dopo le disavventure di Landone è pensabile che anche per la Chiesa di Sezze avvenga, negli anni ‘50 del sec. XII, quello che era già avvenuto per Priverno: venga unita cioè a quella realtà ecclesiale già esistente formata dalle due Chiese di Priverno e di Terracina. Questo decennio segna, a nostro avviso, l’unione delle tre Chiese, che nel loro confrontarsi continuo e nonostante le liti di cui la storia ci tramanda continuamente l’eco, hanno dato vita ad una Chiesa vissuta fino ai nostri giorni, capace di suscitare vocazioni alla santità (pensiamo a san Carlo da Sezze), segnando profondamente la storia delle nostre città.

5. Onorio III e la conferma dell’unione

 Anche a questo proposito speriamo di chiarire una volta per tutte che la bolla Hortatur nos di Onorio III (1216-1227) del 15 gennaio 1217 non costituisce l’atto di unione delle nostre tre Chiese; è soltanto una conferma, quella a noi nota tramite documenti della cancelleria papale, di una unione già da tempo operativa. In effetti Onorio III dice chiaramente che la bolla è redatta su richiesta del vescovo di Terracina Simeone (che da altri documenti risulta essere in continuo contrasto con il clero e le comunità di Priverno e di Sezze), il quale ha chiesto alla santa Sede la conferma di tutti i suoi diritti sulle proprietà della Chiesa di Terracina e la riconferma dell’unione «Privernensem et Setinam ecclesias eidem Terracinensi ecclesiae in perpetuum», come già stabilito dai suoi predecessori Alessandro II (1061-1073), Urbano II (1055-1099), Pasquale II (1099-1115), Celestino II (1143-1144), Alessandro III (1159-1181), Celestino III (1191-1195) e Innocenzo III (1195-1216).

  6. Alla ricerca della propria identità

 A livello giuridico le cose sembravano definitivamente accomodate, ma dagli archivi emergono documenti che testimoniano una certa difficoltà nell’unione delle tre Chiese. Siamo dunque spettatori, nostro malgrado, di una frammentarietà politica e comunicativa fra le varie città che – di fatto e a dispetto delle motivazioni squisitamente politiche che stanno alla base dell’unione delle tre sedi vescovili – impediscono la creazione di una realtà unica. Non per nulla, già nel 1203 l’arciprete e il Capitolo della cattedrale di Priverno avevano intentato causa al vescovo di Terracina che pretendeva avere diritto di visita nei loro confronti; è un indizio chiaro della volontà di ostacolare, in una qualche maniera, l’estensione della “nuova” autorità episcopale.

Nel sec. XV poi la sede della diocesi viene praticamente fissata a Sezze: Terracina, a seguito di una terribile epidemia si riduce ad uno sparuto borgo di neppure centocinquanta abitanti, situazione in cui rimarrà, a causa della malaria e della palude, praticamente fino al sec. XIX. A Sezze il vescovo Cesare Ventimiglia, nel sec. XVII, fa edificare un nuovo episcopio, riadattando i locali della chiesa di S. Paolo; il precedente episcopio – di cui abbiamo notizie perlomeno dal sec. XIII – sorgeva “in platea S. Mariae”, cioè nella piazza della cattedrale.

I vescovi dunque risiedono stabilmente nella città lepina, dove hanno episcopio, curia, cancelleria generale vescovile, tribunale ecclesiastico, carceri, archivio, seminario; dove svolgono le funzioni pontificali e tengono ordinazioni.


7. La crisi del 1701-1702

 

Il 1701 è l’anno che segna una grave crisi nella nostra compagine ecclesiale: i setini, con una petizione presentata alla sacra romana Rota, chiesero il riconoscimento della cattedralità per la loro Chiesa. Indirettamente, il destro per questa rivendicazione era offerto proprio dalla bolla di Onorio III del 1217: nella Hortatur nos non veniva specificato – e non doveva esserlo, dato la sua natura – se il provvedimento che si riconfermava avesse come conseguenza l’assorbimento delle sedi vescovili di Sezze e di Priverno in quella di Terracina la quale, così, unica, cumulava la sede vescovile. I setini sostenevano che Onorio III avesse semplicemente riconfermato l’unione delle tre Chiese sotto l’autorità del vescovo di Terracina Simeone, senza attribuire dignità superiore o preminenza a nessuna delle tre sedi e senza far cenno ad assorbimenti o soppressioni.
Il giovedì della settimana santa del 1701 doveva svolgersi il rito della consacrazione degli oli santi; i canonici di Sezze, nella richiesta che fecero per lo svolgimento del rito nella loro chiesa, precisarono che lo facevano non in virtù di una tradizione plurisecolare – che pure c’era – ma per diritto derivante dall’essere, la loro chiesa, cattedrale e sede del vescovo da tempo immemorabile. Alle resistenze del Capitolo dei canonici di Terracina, i canonici di Sezze si rivolsero alla sacra Rota.

Il 23 giugno 1702 i giudici del tribunale romano stabilirono che non era sufficientemente provata la cattedralità della Chiesa di Sezze e – anche questa ammessa – tale prerogativa era stata soppressa in forza della bolla di Onorio III. La “fretta” era stata fatale per il Capitolo di Sezze: tra i documenti venne presentata la Legenda sancti Lidani (da cui, come abbiamo visto, si ricavano i nomi di alcuni vescovi setini) non nella copia originale, ma secondo l’edizione di padre Ottavio Gaetani, piena di mende, rifacimenti e correzioni, che così fu la causa della decisione rotale negativa.

Comunque il pronunciamento della Rota esprimeva di fatto solo ampia riserva: nulla avrebbe impedito che si fosse potuto riaprire il giudizio sulla questione. Benedetto XIII (1724-1730), forse anche in considerazione degli alti servigi prestati alla santa Sede dal cardinale Pietro Marcellino Corradini, volle quel procedimento avocato alla sua esclusiva competenza.

 

 

8. L’intervento di Benedetto XIII e la riconferma dell’unione

 

Benedetto XIII con la bolla Romanus pontifex del 29 aprile 1725 si pronunciò sulla questione della cattedralità, dichiarando: «praedictam Ecclesiam Setinam cathedralem extitisse tam ante, quam post unionem [di Onorio III], ac de praesenti etiam existere, apostolica auctoritate tenore presentium declaramus». Il papa aveva raccolto tutte quelle notizie che potevano dare alla sua decisione l’autenticità derivante da una oculata analisi storica e pastorale; in particolare – presente a Roma per il sinodo del 1725 convocato dal papa – l’ordinario diocesano Giovanni Battista Conventati aveva fornito a Benedetto XIII importanti informazioni sulla realtà ecclesiale delle tre città.

Il Capitolo dei canonici di Terracina, sperando di poter trovare altre vie d’uscita, dichiarò surrettizia la bolla in cui il pontefice riconosceva la cattedralità di Sezze. Benedetto XIII allora, con la Regis pacifici (15 luglio 1725) rinnovò la sua decisione presa per autorità apostolica, unì di nuovo le sedi di Sezze e di Terracina “aeque principaliter” riconfermando la pariteticità vescovile. Inoltre con la bolla Super universas del 10 settembre 1725 univa con le stesse prerogative – dopo averne riconosciuto la cattedralità precedente e seguente la bolla di Onorio III – a Sezze e a Terracina anche la sede di Priverno. Infine la Sacrosancta romana Ecclesia (9 dicembre 1726) rammenta le precedenti disposizioni papali e riconferma con autorità apostolica le unioni.


9. L’età moderna

 

La bonifica integrale dell’Agro pontino, realizzata negli anni ‘30 del secolo scorso dal governo nazionale, ha avuto notevoli ripercussioni sulla compagine ecclesiale delle nostre tre diocesi. I nuovi territori strappati alla palude vennero aggregati alle diocesi preesistenti: a Terracina fu unita la nuova parrocchia di Sabaudia, Sezze ebbe le parrocchie di Pontinia e di Borgo Faiti, mentre alla diocesi suburbicaria di Velletri fu aggregato parte del territorio di Latina e dei borghi limitrofi. Questo significò un aumento delle urgenze pastorali e, mentre Sabaudia fu affidata alla provincia veneta dei Frati minori conventuali, sacerdoti diocesani di Sezze scesero a Borgo Faiti (Renato Di Veroli), a Tor Tre Ponti (Leonardo Ottaviani, Giuseppe Di Bella), a Pontinia (Giuseppe Torelli, Umberto Ascenzi) e a Bocca di Fiume (Lidano Di Giorgi), oltre che a Fogliano (Antonio Coltré), a Borgo S. Donato (Giuseppe Torelli) e a Latina Scalo (Vincenzo Faustinella).
Nel 1950 però un decreto della sacra Congregazione concistoriale venne a creare una nuova situazione: si decise, dopo aver consultato «clarissimi viri in re historica et in re iuridica periti», di far coincidere i confini delle diocesi con quelle dei comuni e quindi di unire alla diocesi suburbicaria di Velletri tutto il territorio del comune di Latina: a Velletri passarono Borgo Faiti, Latina Scalo e Tor Tre Ponti, sottratti alle diocesi di Sezze e di Terracina; Borgo S. Donato invece fu assegnato a Terracina.

Altre piccole variazioni avvennero ad opera del vescovo Emilio Pizzoni (1951-1966), che unì alla diocesi di Terracina alcuni territori di quella di Priverno. Le tre diocesi conservavano giuridicamente una vita autonoma: tre cattedrali, tre episcopi, tre curie vescovili, tre vicari generali; unico, era solo il seminario vescovile di Sezze, che però aveva la qualifica di “interdiocesano”. Fu il vescovo Pizzoni che nel 1957 avanzò richiesta alla sacra Congregazione concistoriale di riunire in una sola le tre curie vescovili e di procedere alla nomina di un solo vicario generale: Pizzoni fissò la sede della nuova curia a Terracina, lasciando a Sezze e a Priverno le vecchie curie, ma solo per il disbrigo di alcune pratiche.

Il 12 settembre del 1967, con apposito decreto, la sacra Congregazione concistoriale stabiliva la cessione, da parte della diocesi suburbicaria di Velletri, di tutto il territorio della «provincia civili Latina», comprendente i comuni di Cisterna di Latina, Cori, Latina, Norma e Rocca Massima. In conseguenza di questa annessione territoriale, che provocò attriti e risentimenti tra il clero di Velletri, la stessa sacra Congregazione determinò la nuova denominazione della diocesi: Terracina­Latina, Priverno e Sezze.

Il resto, è storia dei nostri giorni. In adempimento degli impegni firmati nel 1984 a Villa Madama tra lo Stato italiano e la santa Sede che hanno modificato alcune disposizioni dei Patti lateranensi del 1929, la Congregazione per i vescovi ha proceduto ad una riforma, da tempo programmata, delle diocesi italiane: il 30 settembre del 1986 le antiche sedi cattedrali di Priverno, di Sezze e di Terracina-Latina, fino ad allora unite “aeque principaliter”, sono state unite “sede plena”. Il cambiamento non ha riguardato soltanto l’anticipazione dei nomi, ma ha portato anche modifiche sostanziali: a Latina è stata definitivamente fissata la sede della diocesi e la chiesa di S. Marco è divenuta cattedrale; la basilica cattedrale di Sezze e le cattedrali di Priverno e di Terracina sono divenute concattedrali.
A ben guardare, solo nel 1986 ha avuto pieno compimento – anche se con esigenze esclusivamente pastorali – il disegno concepito dai papi per motivazioni di carattere squisitamente politico, di spostare verso Roma il baricentro della realtà ecclesiale lepino-pontina, iniziato addirittura nel sec. XI con l’unione di Priverno e Terracina, disegno perfezionato – nel secolo successivo – con l’unione della Chiesa di Sezze.

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